Interviste dal futuro: Ernesto Iaccarino, l'anima e il dominus del Don Alfonso




Per capire il futuro bisogna intervistarlo ed io l'ho fatto in una serie di incontri con alcuni figli dei più famosi e noti chef italiani. Nel loro racconto c'è il futuro dell'alta ristorazione "fatta in Italia", dell'eccellenza, dell'ospitalità in stile tutto italiano, le nuove idee e le attuali tendenze.

A sud, verso il sud, non ci arrivi per caso. Il mare è ovunque, il cuore batte più forte e "la gente lavora in silenzio".  Più a sud, dove per capitarci la strada è tortuosa e lunga, trovi Capri di fronte ad un orto e il "Don Alfonso".  Sei a Sant'Agata Sui Due Golfi e qui, mentre l'odore di agrumi, ulivo e rosmarino riempiono l'aria, lo chef Ernesto Iaccarino, ci parla di ospitalità, rispetto, storia e costume di una famiglia che ha la memoria del cibo dal 1890.



Sei tu che hai cercato la cucina o è la cucina che ha trovato te?
In realtà ci siamo cercati vicendevolmente. Mi sono laureato in Economia e Commercio all'Università statale di Napoli e dopo aver conseguito il Master in Economia, ho lavorato alla Price Water House di Milano come revisore di bilanci, ma l’attrazione verso la cucina mi ha spinto a tornare a casa.


Una infanzia di profumi, sapori, odori. Il ricordo più lontano va anche per te ai giochi sotto il tavolo della cucina?
La passione per cucina è sempre stata dentro di me, il mio mondo, il mio ricordo è la cucina. Dedico al mio lavoro mente e cuore, tutti i giorni, senza mai mollare. Non può quindi propriamente dirsi “lavoro”, per me è una missione!


Qual è il sapore fisso nella tua mente, la tua “madeleine"? 
Lo zabaione al caffè. Un rito che mia mamma o mia nonna preparavano tutte le mattine. Lo prendevo prima di andare a scuola. Questo sapore avvolgente di uova sane, con uno spruzzo di caffè era una sferzata di energia. Ancora oggi nei giorni in cui mi sento più stanco, mi rifugio nei miei ricordi d’infanzia. Il mio zabaione al caffè che deve rigorosamente essere abbondante!


Come si svolge la tua giornata tipo? Raccontacela 
Per prima cosa vado in cucina a salutare tutti i miei collaboratori poi controllo cosa hanno portato i pescatori. Arrivano dopo tutte le materie prime dalla nostra azienda agricola biologica e comincia la fase della pulizia di ortaggi e verdura. Nel frattempo rispondo alle diverse e mail che ricevo quotidianamente e controllo la contabilità di cui effettivamente si occupa mia madre. Io ho una passione per i numeri però il mio mondo è la cucina.
Seguo tutti i servizi, dalla preparazione all’esecuzione finale. Si bilancia, si aggiusta insieme, si discutono sempre le ricette, anche quelle che sembrano finite. Alle 12,30 comincia il servizio del pranzo, ma sapere quando si finisce è impossibile poiché c’è il dopo pranzo, ovvero il momento in cui mi relaziono con i miei ospiti, che vengono in cucina e commentano l’esperienza che hanno vissuto a tavola.  È un momento questo di grande arricchimento umano per me.
Poi di corsa una doccia e di nuovo pronto per il servizio della cena al quale segue il momento in cui incontro gli ospiti dopo cena: lunghe chiacchierate in giardino fino a tardi.  Una o due volte a settimana cerco di praticare uno sport che amo da sempre, il tennis. Questo succede nelle ore più strane proprio per non rinunciarvi.


Genitore, maestro di vita, insegnante : nella vita di un ragazzo è una fortuna avere questi tre ruoli in un'unica figura? Un padre “ingombrante” è una spinta per superare se stessi o solo uno stimolo per superare il “maestro”? 
Non è stato facile essere figlio di Alfonso Iaccarino perché è stato sempre un uomo esigente prima di tutto con sé stesso ed poi anche con i figli.
Da me e mio fratello ha sempre voluto il massimo e soprattutto nella fase dell’adolescenza non era facile per me capirlo, poi con l’esperienza e lo scorrere del tempo tutto è stato più chiaro.
Dopo aver conseguito la laurea e poi il Master in Economia cominciai al lavorare presso la Price Water House di Milano ma non mi sentivo appagato al 100% quindi tornai a casa. Volevo umilmente chiedere a mio padre di poter entrare nella sua cucina. Era incredulo. Da quel momento sono passati 17 anni circa e da quella cucina non ne sono più uscito. 

Quando un padre è anche un “modello di vita” come si affrontano gli scontri generazionali? I progetti e le pianificazioni per futuro e i cambiamenti necessari, partono da idee concordate in sintonia o dibattute e negoziate? 
Mio padre è sempre stata una persona estremamente intelligente per cui mi ha seguito in ogni mio passo senza mai essere invadente ed ha saputo fare un passo indietro quando le sue idee non coincidevano con le mie.
Siamo due generazioni a confronto che portano avanti gli stessi progetti e anche quando ci sono punti di vista differenti, si lavora insieme con orgoglio e determinazione perché l’obiettivo è comune e questo è molto importante.


Heinz Beck racconta che “La cucina è l’universo raccolto in un piatto di 23 cm”, cosa c’è nel tuo universo ?
Per me un piatto deve essere innanzitutto creato con l’utilizzo di materie prime ed ingredienti eccellenti. Un piatto deve poi farsi portavoce della vita, della cultura, della storia di un popolo.  Deve essere un messaggio d’amore.
L’ospite che ha scelto di venire al Don Alfonso, e che arriva dalle parti più disparate del mondo, va rispettato ed onorato ed è per questo che cerco di far sì che ogni mio piatto rimanga impresso nella memoria dei miei ospiti così come rimane impresso nella loro mente la visita ad un museo o ad un monumento.


Un piatto per Ernesto Iaccarino nasce dall’ “ingrediente” o dal tentativo di regalare autentico piacere al palato? 
Senza ingredienti eccellenti non sarei mai in grado di regalare autentici piaceri per il palato.


Noi italiani abbiamo uno strumento affinato che altri popoli non hanno: il palato. Mille papille gustative abituate, forgiate ed educate da sempre ad assaporare il meglio della gastronomia mondiale. E’ così difficile accontentare un palato tanto allenato? Cosa ne pensa Ernesto Iaccarino? 
Il palato è una componente importante ma ciò che è ancora più importante è la nostra cultura gastronomica, il bagaglio che ci portiamo dietro che è fatto di tante componenti: profumi, sapori, gesti, emozioni e tutto questo fa parte della nostra storia, dei nostri costumi, delle contaminazioni millenarie che abbiamo avuto nei passaggi di tanti popoli, negli scambi commerciali. È importante l’approccio con altri popoli, con altre culture gastronomiche; un approccio che deve essere spinto da curiosità ed umiltà. Solo così l’orizzonte si allarga.


Oggi in Italia è difficile trovare un ristorante di tradizione, sono sparite le lunghe cotture, gli avanzi, la cucina povera e il quinto quarto: c’è una speranza di recupero? Al futuro che passato consegniamo?
Il futuro è già il presente. Amo citare a questo proposito una frase che è l’incipit del nostro menu.   "Solo dopo aver studiato, approfondito e rispettato la tradizione, si ha il diritto di metterla da parte, sempre però con la consapevolezza che le siamo debitori, per lo meno, d’avere contribuito a chiarirci le idee.
Naturalmente, se si resta ancorati al passato, la vita che continua diventa vita che si ferma ma, se ci serviamo della tradizione come di un trampolino, è ovvio che salteremo sempre più in alto".
Sì, le cotture lunghe sono sparite perché una volta era una necessità tecnica. Non c’erano i frigoriferi, non c’era il ghiaccio, quindi le materie erano ecologicamente sane ma meno fresche. Per esempio il pesce pescato veniva lasciato per ore in barca sotto al sole. Quindi effettivamente in passato, cucinare per lunghe ore, stordire le materie prime, era un’esigenza. Oggi abbiamo tanta attenzione, l’ausilio di nuove tecnologie, usate al servizio della qualità. Credo che se c’è rispetto per la natura, per la biodiversità e per la storia di ciascun popolo, allora potremmo consegnare ai posteri un futuro di qualità.




(foto dello chef: sito web "Don Alfonso")

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